mercoledì 16 dicembre 2015

"La Giornata di un Guardiano" - racconto "prequel" di "I Guardiani del Bosco"

Titolo: La Giornata di un Guardiano
Tipologia: Racconto
Genere: Fantasy, Humor
Disponibile anche su Wattpad

Il bosco era verde e rigoglioso. Gli alberi formavano un fitto baldacchino al di sopra dei grandi fiori colorati e dei prati selvaggi. Il sole trapelava appena attraverso quella coltre, creando un’atmosfera soffusa e pacata, in quella già magica valle tra i monti: Lilim.

Un suono leggero, una melodia confusa e sconnessa, ma piacevole, invadeva pian piano l’aria vibrante dei profumi della primavera.
Panny era seduto comodamente sull’erba soffice e fresca, la schiena poggiata alla corteccia di un albero dalle foglie grandi e carnose. Provò ancora a soffiare nello strumento che stringeva tra le dita, cercando di modulare l’intensità del suo fiato. Niente. Il suono che usciva dallo strumento non era neanche lontanamente paragonabile a quello che suo nonno, tanto tempo addietro, era riuscito a riprodurre…
A pochi metri, una strana figura, che fino ad un attimo prima stava specchiandosi in un laghetto chiaro e cristallino, si voltò. I biondi capelli per metà intrecciati dietro alla nuca lasciavano scoperte le lunghe e appuntite orecchie del centauro dalla pelle ambrata.
Ehi, Panny, ancora a perdere la testa con quello zufolo? E’ roba da vecchi! Lascia stare! —
gli disse il ragazzo, muovendo poi qualche passo verso di lui.
Panny lo guardò con stizza, passandosi poi una mano nella sua cresta fucsia acceso.
Fatti gli affari tuoi, intesi? E fai attenzione a non cadere di faccia nel laghetto, piuttosto — gli disse, ma poco dopo ridacchiò, tirandosi sulle sue gambe caprine e spolverandosi il manto con le mani. Mosse un poco la coda, in un movimento buffo.
Poi il fauno alzò il volto verso l’esile ragazza che sedeva sul ramo di un albero dai grandi frutti violacei. La ninfa lo guardò di rimando: la pelle era bianco latte, così come i suoi occhi e i suoi capelli lunghissimi. Un ciuffo le copriva quasi metà volto.
Trovato qualcosa di buono, Tany? — le chiese, sbadigliando e rimettendo il flauto nella piccola sacca che portava al collo.
Lei annuì, e stringendo tra le mani un piccolo cestino colmo del suo bottino, fece un balzo, atterrando morbidamente davanti a lui.
Ovvio, cosa credevi? Prima di fare la guardiana assieme a voi due scansafatiche ero una raccoglitrice! —
Pensavo fossi più impegnata a piangerti addosso perché non sei nata fata, sirena o qualcosa di più interessante… — sogghignò sarcastico il centauro, di nome Sen.
Lei lo fissò truce, per quanto glielo permettesse il suo viso da bambina.
Prima che i tre giovani potessero aggiungere altro, nella radura si diffuse una nuova melodia. Una voce, tutt’altro che delicata, urlava. Al di sopra del monte principale di tutta Lilim, la sirena Lory si sgolava. Se avessero strizzato appena gli occhi, guardando verso la cima del monte, avrebbero potuto intravederla, mentre con una mano si tastava la gola.
I tre ragazzi si fissarono.
Era l’allarme, e poteva significare solo una cosa: nel mondo di Lilim era entrato qualcuno. Un umano era riuscito a penetrare nella loro dimensione magica.
Questo significava più lavoro per loro, che erano incaricati di proteggere le “porte” e impedire che qualcuno riuscisse a attraversare il bosco per arrivare al villaggio. Era un ruolo importante, quello del guardiano.
Che seccatura… — sbottò Sen, accarezzandosi la lunga chioma dorata. — Spero che non chiamino noi. —
Lo dico sempre io, che sei uno scansafatiche! — disse la ragazza, aggiustandosi l’abito, che altro non era che una tunica di larghe foglie verde acido legate tra loro con dello spago scuro.
Dovremmo chiamare Lux? — chiese Panny, arricciandosi il pizzetto marroncino, la cui punta tendeva vagamente al rosa. Poche settimane prima aveva tentato di tingersi anche quello di fucsia, ma evidentemente la sua barbetta aveva una consistenza diversa dai suoi capelli, e si era scolorita irrimediabilmente non appena aveva fatto il suo bagno giornaliero nello stagno.
Sen agitò una mano verso di lui.
Non essere sciocco, sarà solo una grana inutile, ritrovare l’umano. Io propongo di andare alla taverna e farci un bel bicchierino alla sua salute! —
Nel frattempo, la sirena Lory aveva smesso di mettere a dura prova le sue corde vocali, e probabilmente era già tornata a sguazzare nel suo stagnetto. Tany stava appunto guardando verso il monte.
Mentre voi architettate le vostre stupidaggini, io torno a raccogliere frutti. Molto probabilmente è una finta. Quella Lory si monta la testa solo perché lei ha la coda da pesce e noi ninfe no! Ricordate l’altra volta, che si mise a sbraitare, e alla fine si scoprì che lo aveva fatto soltanto perché si era ritrovata una doppia punta? —
Prima che potesse finire di parlare una fiamma rosso vermiglio si accese poco al di sopra delle teste dei tre amici. Dalle fiamme comparve un pennuto rosso sangue: aveva il becco dorato, e la punta delle sue penne era di un brillante giallo-arancio. Era una fenice.
Si posò sulla spalla di Sen, che la fissò con diffidenza e stupore.
Poi la fenice si schiarì la voce e parlò con tono serio e composto.
Ho una comunicazione da farvi, ragazzi. Quest’oggi, nel reame di Lilim, è stata rilevata la presenza di un essere che di magico non ha proprio nulla. Non vi pare un evento per lo meno increscioso? —
La voce sarebbe stata ben intonata alla figura di un anziano e saggio signore. Invece, a parlare, era un volatile. Questo, però, non parve turbare i tre ragazzi.
Anche il fatto che siate spaparanzato sulla mia spalla mi pare increscioso — mugugnò Sen, imbronciato. La fenice lo ignorò.
Confido in voi per trovare l’intruso e portarlo via al più presto… E a tal proposito, credo che sia doveroso che tu, Panny, abbia un ruolo principale in questa missione. Trova l’umano, parlagli e accompagnalo fuori da questa terra. —
Due occhi neri fissarono molto intensamente il fauno con la cresta.
E perché proprio io, Lux? — chiese Panny, con tono di voce rispettoso. Era pur sempre un saggio del villaggio quello con cui stava parlando.
Perché sei il più normale, ovvio. —
Sen fece schioccare la lingua, incrociando le braccia sul petto muscoloso, ricoperto di tatuaggi e arabeschi.
Lui sarebbe normale? Ma se sono io il più bello, qui! —
Tany lanciò al centauro un’occhiata annoiata e stizzita assieme, come se avesse voluto tirargli un pugno in testa. Ma non lo fece.
Lux sospirò, per quanto una fenice possa sospirare, prima di replicare con voce paziente: — Sai com’è, tu hai quattro zoccoli e una coda da cavallo, non rientri esattamente nel concetto di “normale” che hanno gli umani… —
Ma lui ha la cresta! — esclamò Sen, indicando Panny.
Lux gli riservò un’occhiataccia.
L’umano è uscito dalla porta A296, vicino al grande lago Nevors — rispose la fenice. — Subito dopo averlo trovato, dirigetevi verso una delle “porte’’. Confido in voi… — e, così com’era venuta, la fenice di nome Lux scomparve in uno sfavillio di fiamme rossastre.
Sen fece una smorfia di dolore, strofinando forte una mano sulla spalla bruciacchiata.
Direi che è ora di andare — sussurrò Panny. — Se volete, posso pure andare da solo. Come diceva prima Sen, questo lavoro sarà proprio una noia… —
Noi veniamo con te — disse Sen, deciso, e Tany annuì. Panny, sorpreso, li guardò con un’espressione interrogativa dipinta sul volto.
Non abbiamo niente di meglio da fare — disse Sen con convinzione, incrociando le braccia sul petto e sospirando, fiero.
Dopo aver raccolto le loro borse, si misero in cammino, silenti e pensierosi. Ognuno, in cuor suo, cercava di immaginare come potesse essere l’umano che aveva fatto incursione nel loro mondo segreto.
A nessun umano era permesso entrare nella Terra di Lilim, come a nessun “lilimiano” era consentito varcare la porta delle dimensioni e entrare nel cosiddetto mondo “reale”. Anche perché un fauno, una fata o un centauro avrebbero di certo attirato l’attenzione.
Vi erano diverse porte poste nei due mondi, luoghi di connessione che bisognava nascondere e proteggere. Nel mondo di Lilim erano concentrati tutti nel bosco; di essi, tre erano porte per “andare”: il Palazzo, la Caserma, e il Piccolo Giaciglio. Erano i soli luoghi da cui un “lilimiano” poteva accedere al mondo reale. Sfortunatamente, però, vi erano centinaia, forse migliaia di porte nel mondo degli uomini, che portavano a Lilim. Sorvegliarle era una seccatura, e gli umani che riuscivano a trovarle erano parecchi.
Ma dov’è la porta A296? Io sono stanca! — si lamentò Tany, camminando al fianco dei due ragazzi.
Panny fece spallucce. — Ehm… non ricordo esattamente… so solo che è al nord… parecchio nord, eh! — disse, cercando di mettere enfasi nelle sue parole.
Il bosco di Lilim era enorme, una vastissima selva dove la magia dilagava nelle valli, e poi pian piano verso la pianura. Era proprio lì che si stavano dirigendo, verso le sponde del lago Nevors.
E dai, Sen. Per favore! Fammi salire sulla tua schiena… lo sai che ti voglio bene! — aveva preso a dire Tany dopo cinque minuti di cammino, tormentando il braccio del giovane e avvenente centauro.
Non se ne parla! Mi rovinerai il mantello come l’ultima volta — disse Sen, impettito, continuando a camminare senza guardarla.
Per favore! Sai che non lo chiederei, se tu non fossi così bello… — lo blandì la ninfa, furbescamente.
Sul serio? — sussurrò Sen, guardandola compiaciuto, facendosi passare le dita tra i capelli lunghi e setosi. — E va bene, sali. —
La ninfa emise un risolino contento, salendo poi in groppa al possente centauro.
Posso salire anch’io? — chiese Panny. Un paio di occhi bianchi e un paio di occhi celesti lo fissarono.
Stavo solo scherzando! — ridacchiò il fauno, correndo più avanti per andare a bagnarsi le dita in uno stagno dove un paio di draghetti bluastri si stava abbeverando.
Non appena furono in vista del lago Nevors tirarono un sospiro di sollievo; Tany scese dalle spalle di Sen e si misero a cercare l’umano.
Panny lo individuò dopo pochi minuti. Era una ragazza, con capelli color castagna lunghi al mento; era di spalle, inginocchiata dietro un arbusto, nell’ombra. Si aggrappava con ostinazione alla corteccia dell’albero davanti a lei, spiando qualcosa al di là. Non si era accorta di loro.
Con un gesto, Panny richiamò Tany e Sen.
È lei? — chiese Tany. Cercarono di mantenersi a distanza per non palesare la loro presenza.
Suppongo di sì — sussurrò Panny, pensando al modo migliore per avvicinarsi a lei senza impaurirla.
Guardate — disse Sen, indicando qualcosa, sulla riva del laghetto. La sua voce si era fatta più dolce.
Sen aveva ragione. La giovane umana doveva essere rimasta affascinata dalle figure longilinee e incantevoli delle fate che facevano il bagno nel lago. Erano cinque, ognuna dai capelli e le ali di un colore diverso e sgargiante, e stavano ridacchiando, giocando e schizzandosi acqua mentre si rincorrevano.
Panny dovette ammettere che erano davvero graziose… ma non era il momento di pensare alle fatine.
Voi restate qui — sussurrò ai suoi due compagni, e si avvicinò piano alle spalle dell’umana. A pochi metri da lei, gli mancò quasi il coraggio, gli tremavano le mani. Non aveva paura: era solo diffidente e intimorito da quella creatura, così semplice, eppure così diversa.
Ehm… scusa… cosa stai facendo? — balbettò. Si dette subito dell’idiota. Che bell’inizio! Con la coda dell’occhio scorse Sen, in lontananza, che si avvicinava alle fate e faceva delle facce ebeti, cercando di ammaliarle, o meglio, di abbordarle.
L’umana non si voltò, troppo impegnata a fissare a bocca aperta quelle creature per lei totalmente assurde. Panny riuscì, però, a cogliere alcuni tratti del suo volto. Gli occhi erano di un brillante verde foglia e dalla forma sottile, e i lineamenti erano dolci, il naso all’insù, le guance piene.
La ragazza aveva sussultato al suono delle sue parole.
Cosa… cosa so-sono quelle? — balbettò, sommessamente. Panny sperò vivamente che non fosse sotto shock, o qualcosa del genere.
Al suo fianco, comparve Tany. Panny fece roteare gli occhi.
Ehm… senti… umana… vieni con noi, per favore — disse dopo, incerto.
La ragazza si voltò e strabuzzò gli occhi, incespicando all’indietro e ricadendo sul sedere, tra gli arbusti. Con le braccia cercò freneticamente di riemergere da quella foresta di rami e foglie, poi li fissò inorridita.
C-cosa se-sei tu?! — chiese, la voce stridula.
Ehm… è una storia lunga… — annuì Panny. — Ma stai tranquilla… siamo dei Guardiani, vogliamo aiutarti… —
L’umana si mise a urlare, come se qualcuno la stesse scuoiando viva.
Calmati, calmati! Per favore! — le disse Panny, alzando le mani davanti a sé. Lei si zittì, riprendendo fiato prima di ricominciare a parlare in fretta. — Cosa volete da me? Dove mi trovo? Che posto è mai questo? —
Prima che Panny potesse rispondere, comparve al loro fianco anche Sen, che si guardò attorno, focalizzando poi l’umana, in modo molto tranquillo.
Oddio, no! Non prendetemi a frecciate! — disse la ragazza, coprendosi il viso con le mani.
Ehi! Ma perché voi umani credete tutti a questi luoghi comuni? Non sono un dannato arciere! — disse Sen, stizzito.
Sarai mica un cavaliere? — riprese la ragazza, guardandolo con un sorrisetto. Tany scoppiò a ridere.
Ah ah ah, molto divertente! — sbottò Sen, stizzito. — Io ho il mio amato fucile. Altro che frecce, non sono un dannato romanticone antiquato come Panny, che suona ancora lo zufolo! —
Prese il lungo fagotto che portava dietro la schiena e mostrò il fucile che conteneva. Se lo rimise in spalla, impettito di dignità.
L’umana guardò il fucile e annuì, poi tornò a fissare Panny. — E tu non hai armi? —
Sono un pacifista! Perché dovrei averne? —
Non sei anche tu un Guardiano? —
Sì, ma a tempo perso — concluse Panny con un’alzata di spalle.
Gli occhi della ragazza passarono su Tany.
E lei? Non ha ancora affatto parlato. Cos’è? —
Sono una Ninfa, il mio nome è Tany — rispose lei.
Iaquatanina! Il suo vero nome è IAQUATANINA! — esclamò Sen, prima di sbellicarsi dalle risate, mantenendosi il petto e tirando la testa all’indietro.
Smettila di chiamarmi così! — disse Tany, risentita.
E tu non hai un’arma? — chiese l’umana, quasi stesse facendo un interrogatorio. La paura era completamente scomparsa dai suoi occhi.
Vuoi darle anche un’arma? Già così è depressa, se le dai un’arma come minimo si ammazza! — disse Sen, continuando a sghignazzare.
Tany lo guardò male. Un ramo sopra di loro si staccò dall’albero, cadendo in testa al centauro.
La mia arma è il potere che ho di dominare la natura. Più o meno a mio piacimento. Almeno per procurare dolore a certi idioti… —
Ahio! Dannazione, mi hai rovinato i capelli! — si lamentò Sen, tastandosi la testa.
Bè, non siete poi così pericolosi — disse l’umana, alzandosi e spolverandosi i jeans. — Io sono Lucy. Tu sei Tany, giusto? —
Si strinsero la mano.
Io sono Sen. —
Ed io sono Panny.—
— … e sei? — chiese Lucy, stringendogli la mano, dubbiosa.
Un fauno punk, non lo vedi? — disse Sen, sogghignando. Panny gli riservò un’occhiataccia. — Sono un fauno, punto — lo corresse il ragazzo dalla cresta color fucsia.
Dopo che le ebbero spiegato più o meno la situazione, scoprirono che Lucy era capitata per caso nelle vicinanze di uno specchio molto antico, che fungeva da portale per Lilim. La versione ufficiale era che lei era uscita col suo ragazzo, che aveva promesso di portarla in un luogo speciale, che si era rivelato essere una casa antichissima piena zeppa di vecchi mobili e di polvere. In un momento in cui lui si era allontanato, Lucy era sgattaiolata di stanza in stanza finché non aveva visto lo specchio, e, specchiandosi… bum! Si era ritrovata dall’altra parte!
Il tuo ragazzo deve essere un Druido — le spiegò Sen, mentre la portava sulla schiena. — Per farsi bello davanti a te, ti ha portato in un luogo che invece avrebbe dovuto proteggere e nascondere. I Druidi sono degli umani un po’ speciali. Come i Guardiani, però sono del mondo reale. 
Nel frattempo, dietro di loro, Tany e Panny consultavano una vecchia e logora cartina.
Non ci saremo mica persi? — chiese la ragazza. Panny mugugnò.
Voi siete creature del bosco, non dovreste conoscerlo a memoria? —
Hai letto troppe favole, bambolina — gli rispose Sen, ridacchiando.
Ma proprio mentre sembrava che avessero preso la via giusta, ecco che Panny scorse, in lontananza, delle piccole figure scure, che ingombravano la via acciottolata del bosco.
Dannazione… — sussurrò il fauno, alzando le braccia per fermare i suoi compagni.
Tany si portò le mani alla bocca.
E adesso come facciamo? —
È proprio in questi momenti che ti servirebbe avere le ali, Iaquatanina!- disse Sen. Lei, per risposta, gli tirò un calcio.
Chi sono? — chiese Lucy, preoccupata, sporgendosi dalle spalle di Sen.
Panny deglutì, mentre fissava l’orizzonte.
Ometti… —
Lucy sgranò gli occhi. — Eh? —
Li chiamiamo così, ma voi credo li conosciate come ‘goblin’. Sono una specie di nani, ma più piccoli. Hanno il corpo di bambini di due o tre anni, la testa rotonda e la faccia brutta. —
E voi vi state facendo problemi per dei piccoletti bruttini? —
Tu non li conosci! — disse Sen, preoccupato anche lui. — Sono sempre armati fino ai denti di lance, spade e coltelli da macellaio! —
Ok, ma cosa vogliono? — sussurrò Lucy, che stava incominciando a impaurirsi.
Hanno sentito che c’è un umano in circolazione e vogliono catturarlo per… —
Panny si voltò a guardare Sen.
Per? — li esortò la ragazza.
Per mangiarlo. Sono carnivori, e di solito sbranano solo animali piccoli, perché se dovessero attaccare noi verrebbero ammazzati… ma per loro gli umani hanno una carne troppo buona per lasciarseli scappare… — disse Tany, senza troppi giri di parole.
Panny rabbrividì.
E allora saliamo in groppa a Sen, corriamo al galoppo, e scappiamo via! — disse Lucy, stringendosi alle spalle del guardiano.
Il centauro scosse la testa. — Non posso farcela. Non riuscirei nemmeno a spararli, sono troppi! —
Sarebbe peggio… —sussurrò Panny.
Sen si voltò e vide Tany, seduta sul pavimento erboso, che si stringeva le ginocchia al petto con aria afflitta. — Invece di deprimerti, cerca una soluzione assieme a noi. —
Lei lo guardò di sottecchi, poi si alzò e tirò fuori da chissà dove un coltellino. Prima che potesse protestare, tagliò con un colpo netto una ciocca di capelli di Sen.
Che diavolo fai?! —
Ci salvo le chiappe — sussurrò lei, seria.
Prese Lucy per un braccio, spiegandole il piano,
Dobbiamo passare inosservati. Fingiamoci lilimiani qualsiasi. Qui vivono tante creature strane, e gli ometti sono stupidi. Ci crederanno. —
Legando con lacci e fili d’erba e unendo insieme foglie e arbusti, confezionò un vestito simile al suo, fatto di pura vegetazione. Dopodiché, Tany fece girare i ragazzi. Quando disse loro che potevano guardare, Lucy indossava l’abito di foglie che la copriva dal seno in giù e che le arrivava alla coscia. I capelli erano intrecciati ad altri capelli bianchi e lunghi: qualche ciocca di Tany.
La ninfa doveva aver ricavato dai frutti raccolti quella mattina la tinta viola che ora colorava il volto, le braccia e le gambe dell’umana, e dietro al sedere le aveva fissato la ciocca di capelli di Sen, come se fosse una coda.
Sen e Panny la guardarono. — Non ci cascheranno mai — esclamarono, insieme.
Decisero di provarci ugualmente, e si avvicinarono allo schieramento di ometti dalla faccia arcigna.
Possiamo passare? — chiese Tany, mandata avanti perché aveva il viso più carino. Uno degli ometti grugnì, fissandoli con i suoi occhietti neri e acquosi.
Tany e gli altri lo presero come un sì, e incominciarono a passare. Panny pregava tra sé e sé che non dicessero niente, che non li fermassero…
Uno degli ometti incominciò a squittire, parlando fitto nella loro lingua.
Il gruppetto di ragazzi lo ignorò, continuando a camminare piano.
Ragazzi… — sussurrò Lucy, piagnucolando.
Si voltarono a guardarla. Centinaia di piccoli occhi neri li fissavano, lampeggiando, passando dai loro volti alle mani di uno degli ometti. Quest’ultimo era alle spalle di Lucy e stringeva tra le dita la ciocca di capelli di Sen che doveva sembrare una coda… ma che adesso era caduta per terra.
VIA! — urlò Sen. Con un gesto fluido afferrò Tany sotto un braccio, e con l’altra mano spinse Panny verso la sua schiena. — Aggrappatevi! —
Il fauno fece appena a tempo a gettarsi sul dorso del compagno, che questo era già partito al galoppo, mentre dozzine di ometti, inferociti e brandendo le loro armi, li inseguivano e si buttavano su di loro, cercando di acchiapparli.
Anche Lucy era salita su Sen, e nella corsa, Panny l’aiutò a montare su, calciando poi un piccolo ometto che si era aggrappato alle sue gambe.
Grazie — sussurrò Lucy, senza fiato.
Nella corsa pazza, riuscirono a fuggire, rifugiandosi nel folto e correndo poi verso quello che era inconfondibilmente il Piccolo Giaciglio.
Ce l’abbiamo fatta! — urlò Sen, alzando la mano libera al cielo.
Di lì a poco tutti e quattro scoppiarono in una risata di gioia e sollievo.
Ecco! Siamo arrivati — esclamò Sen, indicando una piccola capanna davanti a loro. Vi si fermarono davanti prima di guardarsi a vicenda.
Suppongo che dovrei andare… — sussurrò Lucy, un po’ imbarazzata. Poi strinse la mano a Sen e Tany.
Quando arrivò il momento di Panny, lo abbracciò.
Grazie di tutto… —
Sciolto l’abbraccio sorrise, e così anche Panny; poi, un luccichio strano di occhi, nella foresta alle spalle di lei, lo fece rinsavire.
Meglio che tu vada, ora… — disse, passandole i suoi vestiti da umana e spingendo Lucy verso la porta della capanna. Non voleva far infuriare la padrona di quegli occhi gelosi, ovvero la sua fauna fidanzata.
Lucy aprì la porta, ma vide che all’interno non vi era altro che buio. — Ehm… — esordì, incerta.
Buon viaggio! — esclamò Sen, ridacchiando e dandole uno spintone.
La ragazza fu avvolta dal buio e scivolò nella botola ai suoi piedi, urlando.
I tre amici non si preoccuparono: di lì a qualche minuto si sarebbe ritrovata nel mondo degli umani.
Panny si guardò attorno, preoccupato. Sen lo scrutò ridacchiando.
Tranquillo, amico. Peggio degli ometti non può essere. —

(Non copiare o riprodurre senza chiedere prima il permesso, grazie!)

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